Marco Frigerio, judoka 6° dan presidente dal 1984 del DYK Chiasso, già agonista di livello nazionale, festeggia quest’anno i cinquant’anni sul tatami. Una vita trascorsa alternando tra famiglia, professione e judo. In occasione dell’importante anniversario abbiamo pensato bene di rivolergli qualche domanda.

Quando hai iniziato a praticare judo ?

Ho iniziato a praticare judo a sei anni nel 1970. All’epoca, nel Mendrisiotto, era unicamente la Scuola club Migros a proporre dei corsi di judo diretti da Mario Bortolin una delle prime cinture nere ticinesi. Il judo mi ha subito appassionato, non ho mai smesso di praticare anche se negli anni vi sono stati periodi di maggiore intensità rispetto ad altri. Oggi sono al dojo di via Cattaneo 10 a Chiasso almeno quattro sere a settimana per insegnare o allenarmi.

Cosa è il Do Yu Kai Chiasso per te ?

Dalla costituzione del Do Yu Kai Chiasso, avvenuta nel 1974, sono divenuto un allievo della scuola. Da trentasei anni ne sono il presidente e attualmente anche il più alto in grado. Il 6° dan corrisponde alla cintura bianca e rossa, che viene dopo la nera e che costituisce l’ultimo grado che in Svizzera può essere attribuito dalla Federazione superando un esame. Il Do Yu Kai è come una seconda casa. Ho conosciuto tanti praticanti. Vi ho cresciuto i miei figli (Manrico e Mattia) divenuti cinture nere (oggi insegnanti). Ho condiviso, in particolare con mia moglie Brunella, tanti momenti positivi dedicando molto tempo agli altri.

Quali sono i tuoi ricordi più belli ?

I ricordi più belli sono quelli degli stages ossia delle settimane passate ad allenarsi potendo concentrarsi solamente sul judo. Il mese trascorso a Tenri in Giappone nel 1982 è sicuramente stato un periodo straordinario; anche i dieci stages che ho diretto mi hanno lasciato dei bellissimi ricordi. Per quanto riguarda i risultati sportivi le competizioni a squadre (sia con il proprio club, sia con la nazionale svizzera) sono quelle che ti segnano, anche se il judo rimane uno sport individuale che non prevede scuse. Nelle competizioni sei solo e – vittoria e sconfitta – dipendono unicamente da te.

Attualmente quali effetti ha causato il “Corona-virus” ?

Oggi il judo deve superare la sfida “Corona-virus”. Essendo uno sport di contatto è evidente che in questa fase è possibile proporlo solamente in una forma “adeguata”. Judo tuttavia significa “via della cedevolezza o della adattabilità”, il vero praticante dovrebbe quindi avere appreso ad affrontare e risolvere situazioni inaspettate. Al DYK Chiasso dall’11 maggio proponiamo delle lezioni di “judo adattato” nel rispetto delle direttive della Federazione approvate dall’Ufficio federale dello sport. Questa settimana siamo riusciti ad organizzare 8 lezioni di 4 praticanti più l’insegnante, ciò che ci ha permesso di riportare sul tatami 32 judoka. Non perdere il contatto con gli allievi ed essere nuovamente sul tatami ritengo che sia, in questa fase, prioritario.

Quali sono i prossimi obiettivi al DYK Chiasso ?

Al DYK Chiasso la Federazione ha attribuito l’organizzazione delle finali nazionali individuali 2020. La competizione, che costituisce l’appuntamento più importante del judo svizzero, dovrebbe svolgersi il 14 e 15 novembre al Palapenz. Al momento non sappiamo però se si potrà combattere, dato che tutte le gare sono sospese e non abbiamo una data certa per una ripresa di attività nella forma completa. Pure sospeso è il campionato a squadre di prima lega al quale partecipa la nostra formazione di giovani. Difficile oggi prevedere quando e come il campionato, che avrebbe dovuto svolgersi sull’arco di otto giornate e che si è interrotto dopo la prima, si potrà concludere.

 

Fai un bilancio dei tuoi cinquant’anni di judo; hai qualcuno in particolare da ringraziare ?

Il judo mi ha dato tantissimo. Non a caso si dice che sia una scuola di vita. Imparare la disciplina, continuare a praticarla e – dopo averla appresa – partecipare alla sua trasmissione è la missione del vero judoka. In questi cinquant’anni, trascorsi sul tatami, ho sempre cercato di adempiere a tale missione interpretando, via via, il ruolo di allievo, agonista, insegnante, dirigente e promotore. Nel corso della pratica ho incontrato insegnanti degni di nota, dal profilo tecnico, e dirigenti appassionati senza i quali nulla sarebbe stato possibile al Do Yu Kai. L’obiettivo del judo tuttavia non è creare persone che rimangono succubi di un insegnante ma di contribuire alla formazione di persone vere in grado di assumere le proprie responsabilità. Non condivido la visione che idealizza la figura dell’insegnante. Non per nulla il simbolo che è stato scelto per rappresentare il Do Yu Kai rappresenta un airone pronto a “spiccare il volo” per rendersi autonomo.

Chi veramente devo ringraziare, per il tempo che ho potuto dedicare al judo, è mia moglie la quale – pur non essendo una judoka – ha scelto di condividere questa mia passione contribuendo in modo importante al funzionamento del Do Yu Kai.